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Gv 6,48-56
In quel tempo Gesù disse ad alcuni giudei: ” 48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

Di che cosa viviamo? Quale fame e quale sete ci abitano? Cosa da vita alla nostra vita? Di quale cibo ci nutriamo? Ecco alcune domande che il testo evangelico odierno vuole suscitare in noi.

Certamente c’è un cibo materiale che è essenziale alla nostra vita, al nostro corpo, perché ci da energie, forze e lucidità. Un cibo, questo, che noi siamo chiamati a procurarci con il lavoro delle nostre mani, con la fatica e la responsabilità di trarre ogni giorno dalla terra il sostentamento per il nostro corpo. Gesù stesso si è sempre preoccupato di procurare questo cibo ai suoi discepoli e a coloro che lo seguivano per ascoltare il suo insegnamento (pensiamo, per esempio, all’episodio della moltiplicazione dei pani dove Gesù si premura di non rimandare digiuni quelli che erano venuti da lontano: cf Mt 15,32).

Ma se questo cibo è essenziale non è però sufficiente a dare pienezza e senso al nostro vivere: noi siamo abitati non solo dalla fame di pane ma anche da quella di relazioni, e questa fame necessita di un cibo che non possiamo procurarci da noi stessi ma che è dono, offerta, espressione di amore e di condivisione.

Proprio per questo Gesù usa questa metafora del cibo per dire il dono della sua vita fatto per noi, per dire il suo amore che si spinge fino alla morte e alla morte di croce, per dire il suo desiderio di trasmetterci vita in abbondanza. Ecco perché parla di se stesso come di un pane che noi non possiamo procurarci da noi stessi ma che discende come dono del cielo e che dona vita eterna perché è dono della vita.

Egli è un pane vivo che proprio perché è consegnato a noi, proprio perché è assimilato in noi, diviene per noi vita, e vita capace di restare in eterno.

Come Dio nel deserto sostenne i figli d’Israele donando loro la manna, il pane caduto dal cielo, così Gesù, venuto dal Padre, sostiene i credenti con il dono di se stesso, creando una comunione così intima, così profonda e forte, che si può paragonare al pane nel corpo di chi lo mangia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”.

Certamente queste parole sono un rimando all’eucaristia, il sacramento dell’amore di Cristo, ma ci dicono anche il desiderio di Gesù di entrare in una relazione profonda con ogni uomo, di dimorare in ciascun credente come fonte di vita e di pienezza.

Sì noi viviamo di cibo, di pane, ma ancor più viviamo dell’amore gratuito che ci viene offerto e donato, viviamo di, e in, quella relazione con il Signore delle nostre vite che si è fatto per noi cibo e bevanda di vita eterna, corpo spezzato e sangue versato per la nostra salvezza.

Mangiare il corpo del Signore e bere il suo sangue significa ricevere in noi la vita che viene dal Padre per mezzo del Figlio nella forza dello Spirito santo, significa lasciare che il Signore “trasfiguri il nostro corpo di miseria per conformarlo al suo corpo di gloria” (Fil 3,21), significa accogliere in noi una vita più forte della morte perché abitata dall’amore, quell’amore che solo resta in eterno (cf. 1 Cor 13,8).