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Gesù passionale

Lc 19,45-48

In quel tempo 45Gesù entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, 46dicendo loro: «Sta scritto:

La mia casa sarà casa di preghiera.

Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».

47Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; 48ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Gesù entra nel tempio. È il primo luogo dove si reca dopo essere entrato in Gerusalemme alla fine del suo viaggio.

Da poco c’era stato l’ingresso nella città e la folla aveva lodato Dio a gran voce per i prodigi che aveva visto compiere, aveva cantato: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore” (Lc 19,38).

In questo clima festoso, dove stonano solo le critiche dei farisei, ci troviamo di fronte a una scena che ci può sorprendere. Gesù con un gesto d’ira scaccia i venditori che si trovavano all’interno del tempio. Sebbene la versione di Luca sia piuttosto parca di dettagli, in Marco troviamo tavoli rovesciati e sedie a terra, e un Gesù che impedisce alla gente, che usava il tempio come scorciatoia, di passare.

Ci viene presentato qui un Gesù passionale che reagisce con rabbia al vedere snaturato il luogo che ama, il luogo dove dovrebbe abitare la presenza del Signore e dove, con attenzione e consapevolezza, bisognerebbe avvicinarsi per ricevere insegnamento e consolazione.

Invece trova un mercato del sacro, dove la gente andava per avere la valuta necessaria per comprare gli animali per i sacrifici prescritti, ma in questo vociante commercio c’è una distorsione del significato, c’è implicita la tentazione di sentirsi “a posto” se si compiono i riti prescritti, c’è chi approfitta della gente che viene da lontano per trarre dei guadagni che nulla c’entrano con il culto.

C’è un uomo che sa che la sua vita sta per volgere al termine, sa che solo se verrà colta la sostanza del suo insegnamento la sua morte potrà essere feconda di senso.

C’è la rabbia di chi sa quanto è semplice arrendersi di fronte al sentimento dell’impotenza, di non poter far nulla per cambiare la situazione presente, e lotta con i mezzi che ha per affermare che per lui non è così.

C’è chi si trova a suo agio nel già noto e nel non mettersi in discussione e considera una minaccia chi offre un insegnamento diverso, e arriva a progettarne la morte, come i capi degli scribi e del popolo.

E c’è la folla, c’è chi aspettava da tempo una parola che gli fosse rivolta, che desse un senso e una prospettiva, c’è chi era stato guarito, c’è chi aveva lasciato tutto e l’aveva seguito.

Tutti costoro pendevano dalle sue labbra, bevevano dalla sorgente di acqua viva e facevano proprie quelle parole per ricordarle tempo dopo, e traghettarle fino ai nostri giorni.

Perché l’insegnamento di Gesù non chiedeva soldi o riti, offriva una strada e offriva una coerenza a caro prezzo. Quella coerenza che è alla radice di un gesto che può sembrare eccessivo o politicamente inopportuno o forse anche un po’ folle.

Gesù non sceglie mai posizioni di comodo, non fugge di fronte ai conflitti perché sa che l’amore per il Signore non è negoziabile se non snaturandolo.

E insegna, insegna ogni giorno, prima di tutto con la vita e poi con le parole. E il suo insegnamento non è tiepido, incolore, ma sa scuotere, inquietare e porta a porci domande. Non ci presenta un galateo di buoni propositi, ma ci propone un cammino di vita senza sconti e per questo ancora oggi eloquente.