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“Mia gioia, Cristo è risorto!”

Mt 22,23-33

In quel tempo,23vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogarono: 24«Maestro, Mosè disse: Se uno muore senza figli, suo fratello ne sposerà la moglie e darà una discendenza al proprio fratello. 25Ora, c’erano tra noi sette fratelli; il primo, appena sposato, morì e, non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello. 26Così anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. 27Alla fine, dopo tutti, morì la donna. 28Alla risurrezione, dunque, di quale dei sette lei sarà moglie? Poiché tutti l’hanno avuta in moglie». 29E Gesù rispose loro: «Vi ingannate, perché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. 30Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. 31Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: 32Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!». 33La folla, udendo ciò, era stupita dal suo insegnamento.

Mia gioia, Cristo è risorto!” con queste parole il monaco russo Serafim (1759-1833) accoglieva i pellegrini che da ogni regione della Russia, attirati dalla fama della sua santità, venivano a trovarlo nel monastero di Sarov per ricevere da lui consigli, consolazione, incoraggiamento. Serafino compendiava in questo suo saluto la fede cristiana. “Cristo è risorto, con la sua morte ha vinto la morte e ai dormienti nei sepolcri ha donato la vita”, canta nel tempo pasquale la liturgia ortodossa. La resurrezione di Cristo ha vinto la morte, ogni forma di morte che sperimentiamo nella nostra esistenza terrena: il male, la sofferenza, ma anche le difficoltà nelle relazioni con gli altri. La resurrezione, la vittoria della vita ci fa vedere gli altri come “nostra gioia”, fratelli e sorelle che, con tutti i loro limiti, ci sono affidati dal Signore. Nella Prima lettera ai cristiani di Tessalonica troviamo questa esclamazione dell’apostolo Paolo: “Chi, se non proprio voi è la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui vantarci davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia” (1Ts 2,19-20).

Eppure la resurrezione del Signore sembra essere stata di scandalo ancor più che la sua passione e la sua morte. Il primo vangelo in ordine di tempo, quello di Marco, nella sua stesura originale si chiude con la paura delle donne dinanzi all’annuncio della resurrezione. Si sentono dire: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’” (Mc 16,6-7). E invece le donne non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (Mc 16,8). Non hanno fiducia nelle parole che sono state loro rivolte.

 

Nel passo odierno del vangelo Matteo ci presenta un gruppo di sadducei, i quali riconoscevano come Scrittura soltanto la Torà e non credevano alla resurrezione. Presentano un caso limite; parlano della morte con cinismo forse dettato dalla disperazione di chi non vede null’altro al di là di essa; non parlano della tragedia della morte, della sofferenza di chi muore e della sofferenza di chi vede morire. Tutto è ridotto a casistica da manuale teologico. Gesù non scende al loro livello. “Vi ingannate perché non conoscete la Scrittura né la potenza di Dio”. Vi ingannate, cioè sbagliate strada, siete al di fuori di quella via che consiste nel confidare nella Scrittura e nella potenza dell’amore di Dio. Non sappiamo come e quando risorgeremo, non abbiamo visto risorgere i nostri morti, ma confidiamo che nessuna vita è perduta (cf. Gv 6,39: “Questa è la volontà del Padre mio: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”). Crediamo che la morte non è la fine, ma la porta che si apre sulla vita e questo già cerchiamo di vivere e rendere credibile oggi. Amare è già esperienza pasquale, guardare ai fratelli e alle sorelle come a una nostra “gioia” è frutto di una vita pasquale, della morte dell’egoismo per acconsentire all’amore.

Durante la sua salita a Gerusalemme per tre volte Gesù ha parlato della sua passione, morte e resurrezione. Dispiace che la traduzione italiana della CEI ponga come titoletto “Primo/secondo/terzo annuncio della passione”; Gesù non ha annunciato soltanto la sua passione e morte, ha annunciato anche la sua resurrezione; ha annunciato che per questa via riporta la vittoria sulla sofferenza e sulla morte e dà speranza di salvezza a tutti noi. Se Gesù avesse soltanto sofferto e fosse soltanto morto, allora “vana sarebbe la nostra fede” come dice l’apostolo Paolo e noi saremmo “i più miserabili” (1Cor 15,17.19) su tutta la terra. Ma forse anche noi come i sadducei fatichiamo a capire le parole di Gesù.

Solo radicando la nostra vita in Cristo, nel vangelo possiamo già oggi vincere la morte, ogni forma di male che già oggi ci sottrae un po’ della nostra vita e già ora vivere la vita del Risorto.