Il Vangelo della gioia
Lc 1,39-45
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Un vangelo di gioia, questo nostro testo: è l’incontro gioioso di due donne gravide, la pienezza dell’umanità. Però sappiamo che ogni gioia secondo il vangelo suppone una Pasqua, il passaggio attraverso la morte, suppone lo scandalo della croce. E qui dove sta lo scandalo della croce?
Lo scandalo della morte sta alle spalle e sta di fronte all’incontro di queste due donne, che pure anche lessicalmente è posto nel quadro gioioso della resurrezione: leggiamo all’inizio, infatti, “Maria si alzò”. Potremmo anche leggere: “Sorse allora Maria in quei giorni dirigendosi verso i monti, con urgenza”. È questo il sorgere di un profeta, il sorgere provocato dallo Spirito santo: il sorgere alla vita dall’alto dopo aver accettato la morte a se stessa.
C’è una morte che sta alle spalle di Maria, c’è una morte che sta alle spalle di Elisabetta. Due vergogne, due scandali, che sono delle vere e proprie morti, la morte dell’immagine ideale di se stesse. Maria ed Elisabetta sono due donne che hanno accettato la loro morte in quanto spose, la morte in loro stesse dell’ideale di sposa fedele, il ruolo sociale sommo a cui le destinava la mentalità della loro epoca.
Ma chi porta la morte in queste due storie, che pure parlano della vita che viene nel mondo? Noi, uomini e donne di ogni tempo, noi che siamo cattivi, come ci rivela il Signore (cf. Lc 11,13), con la cattiveria del nostro sguardo, con la violenza delle parole dettate dal buon senso comune.
Già. Una donna gravida senza marito e una donna gravida con un marito gravemente infermo. Due donne esposte al vento della maldicenza, della violenza dell’opinione comune. Su Maria, a quanto pare, c’è un’evidenza, su Elisabetta il ragionamento deve essere più sottile; e però lo conosciamo bene questo venticello della mormorazione, perché nasce nel nostro cuore.
Chi potrebbe credere a queste due donne? E smettere di credere a qualcuno è già ucciderlo.
Però Maria ed Elisabetta risorgono da questa morte perché credono che Qualcuno continui a credere in loro e così esse possono continuare a credere in se stesse. Esse credono all’annuncio di vita che viene dall’Alto, lasciandosi invadere dalla forza dello Spirito santo. E questo le porta a un altro grande miracolo: quello di credere l’una all’altra.
Così l’una, credendo a un annuncio, corre ad annunciare; l’altra, credendo al saluto di Maria e alla danza emozionata del figlio, si apre ad accogliere l’altra, la vita, l’Altro, il Signore.
Lo Spirito porta dove noi non pensiamo, se ci lasciamo portare da lui. Ci porta nell’altrove della fiducia, della fede nella vita più forte dell’evidenza, alla vita più forte della morte: nulla è impossibile a Dio.
Poi c’è una morte che sta di fronte alle due donne: i figli che portano nel grembo saranno vittime della violenza dell’incredulità degli uomini. Però esse impareranno nella fede che quelle morti, per quanto atroci e scandalose, vissute come consegna di sé senza rispondere al male con il male, sono passaggi verso una vita senza fine.
Il figlio dell’una precederà il figlio dell’altra, radunando per lui dei discepoli, un popolo ben disposto, e il figlio dell’altra precederà tutta l’umanità attraverso la via stretta di una morte accettata per fede, quella via che conduce al Padre, il creatore di tutto.