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Mc 2,18-22

In quel tempo 18i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. 21Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. 22E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

Gesù inizia il ministero di annuncio della buona notizia in Galilea, predicando la conversione e il perdono dei peccati. Il suo è un insegnamento dato con un’autorità nuova (cfr Mc 1,27) che non si basa solo sulla conoscenza della Scrittura, per questo gli scribi e i farisei lo contestano incapaci di cogliere la novità del suo agire.

Il suo insegnamento è una forza che scuote dal torpore quotidiano chiamando ciascuno alla novità della sequela, in un rapporto personale con lui, mediato da uno sguardo, una voce, una capacità di ascolto che solo il Signore Gesù ha. Le folle accorrono sempre numerose per ascoltarlo e per essere guarite dai loro mali, ma Gesù ritorna al deserto, nel dialogo assiduo con il Padre. Tra le folle sempre incontra un volto, una storia, ascolta la fede di chi si fa portatore e custode dei fratelli più deboli.

Questa è la grande novità del suo insegnamento: una parola che ascolta, che accoglie la verità profonda di ogni essere umano, ma soprattutto una parola di perdono che rende sempre possibile un nuovo inizio. È difficile comprendere questa novità per gli scribi e i farisei sicuri della loro conoscenza astratta della Legge e delle sue prescrizioni. Più volte contestano il modo altro con cui Gesù si pone in relazione con i malati, i peccatori, i discepoli, e ogni volta Gesù si presenta come novità assoluta che irrompe nelle nostre vite, egli è lo sposo, la promessa d’amore del Padre che apre le nostre storie chiuse nel peccato, nella malattia, fissate nella pratica sterile di riti e tradizioni.

Non possiamo aderire al Signore Gesù se non accettando di convertirci rinnovando ogni fibra di noi stessi. Non possiamo pensare di aderire alla novità che il Signore ci annuncia semplicemente mettendo delle toppe a una vita di comodità, di ripetizione del già noto, di pratiche religiose assolte per farsi vedere.

Solo il Signore Gesù, lo sposo, può dare senso e pienezza alla nostra vita, e lo farà solo se accettiamo di rinnovarci costantemente per rivestire l’uomo nuovo (cfr Ef 4,23), per essere rivestiti di Cristo. E anche quando lo sposo sarà tolto, quando il Signore fiaccherà le nostre forze (Sal 102,24), non venga meno la fede, il desiderio della relazione con lui, perché rinnovando continuamente la nostra sequela e il nostro cuore potremo rendere conto della speranza che è in noi e che è speranza, consolazione, misericordia per ogni uomo peccatore, malato, sofferente per le durezze della vita.

Non contando più su noi stessi, sulle nostre opere, sulle nostre liturgie, sulle leggi umane, saremo capaci di autentica accoglienza dell’altro nel nostro cuore e nella nostra vita, accoglienza che non necessita di grandi opere o discorsi, né di ricchezza di mezzi o potere, ma solo di un cuore capace di ascolto, di un volto al volto dell’altro, di uno sguardo silenzioso che riconosce e ama e rispetta solo un fratello, una sorella senza null’altro chiedere.

La novità che il Signore ci chiede per entrare nelle nostre vite e condurci, fuori da noi stessi, dietro a lui, è un evento che deve sempre sconvolgerci e obbligarci a una scelta netta: seguire lui accettando il rischio di abbandonare le certezze per abbracciare il “novum” dell’amore di Dio o ripiegarci nelle tradizioni fissate, nella certezza di trovare sempre nelle nostre “tiepide case cibo caldo e visi amici”.

Perché essere otri nuovi che raccolgono vino nuovo significa anzitutto nella sequela di Cristo non restare mai indifferenti di fronte alla sofferenza inflitta al fratello più debole, più povero, fino anche alla collera se fosse necessario (cf. Mc 3,5), perché non sia più indurito il nostro cuore, ma trasformato in un cuore nuovo, di carne, capace di ascolto, vera narrazione della tenerezza di Dio per ogni creatura.