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Il mio amato

 è mio e io

 sono sua…

 Io sono

 del mio amato

 e il mio amato

 è mio.

 (Cantico 2,16; 6,3)

Il Cantico dei cantici -siir hassirim – è un gioiello della Bibbia, un Cantico per eccellenza dell’amore totale, unico di Dio per il suo popolo e a sua immagine dell’amore umano, altrettanto totale e unico tra una donna Sulammita- e un uomo Salomone.

Questa mattina mi voglio sofferma sui suoni delle parole in ebraico che distillano come uno stupendo  canto amore a mani piene.

In ebraico i suoni ô e î indicano rispettivamente la terza persona (“lui, suo”) e la prima (“io, mio”), e anche chi non conosce l’ebraico biblico  sente l’armonia simbolica e musicale dei due versetti che abbiamo ascoltato dal gioiello poetico e spirituale che è il Cantico dei cantici. In questi versi, i due suoni si ricorrono come un dolce filo musicale che canta la piena e assoluta reciprocità della donazione totale d’amore. Proviamo, a leggere e rileggere queste frasi in ebraico e sentiremo la musicalità di quei due suoni, l’“io” e “lui” che si abbracciano: dodì li wa’anì lo…’anì ledodì wedodì li. 

“Io sono del mio amato e il mio amato è mio”, dove il suono J è l’espressione in ebraico del pronome di Dio che è la fonte dell’amore.

I biblisti parlano di  “formula della mutua appartenenza,  ma in questi versi ritroviamo l’eco del primo ed eterno inno d’amore dell’Adamo universale quando incontra la sua Eva: “Carne della mia carne, osso delle mie ossa” (Genesi 2,23). È una professione d’amore, affidata a quattro sole parole ripetute che diventano un programma di vita d’amore tra Dio e il suo popolo e tra donna e uomo.. E’ l’amore autentico che come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est, si fonda su una reciproca donazione d’amore di anime e di corpi, per cui si è “una carne sola” ossia, nel linguaggio biblico, un’unica esistenza.

Protagonisti di questo poemetto biblico sono un Lui e una Lei senza nome, perché incarnano gli innamorati di ogni terra e di ogni epoca: le allusioni a Salomone e a una Sulammita sono solo simboliche, soprattutto perché questi termini evocano la parola ebraica shalôm, “pace”. Questo realismo costituisce, però, la base per intessere una rete di rimandi ulteriori. L’amore della coppia umana, quando ha in sé questa totalità di dono per cui rivela una comunione perfetta, si trasfigura in un segno divino. Per questo non pochi esegeti hanno fatto notare che la duplice formula del Cantico sopra citata ne echeggia un’altra. Essa suona sostanzialmente così: ‘Il Signore è il tuo Dio e tu sei il suo popolo“.

È la cosiddetta “formula dell’alleanza” tra il Signore e Israele. Inizialmente questo legame era stato modulato secondo i canoni delle alleanze diplomatico-politiche tra un re e i suoi principi vassalli. Al Sinai si era steso quasi un protocollo siglato con un rito di sangue (Esodo 24,1-11): era un patto reciproco di fedeltà a diritti e doveri specifici. Con Osea e la sua drammatica vicenda matrimoniale di marito abbandonato e tradito si era introdotta una svolta radicale: quell’alleanza non era più tra due potenze ma tra due amori.

Il simbolo dell’amore tra una donna e un uomo è stato adottato dall’autore per descrivere il vincolo tra Dio e il suo popolo. La formula del Cantico può, così, essere sovrimpressa a quella dell’alleanza col Signore, così da farle acquistare quel connotato d’amore e di fedeltà che i profeti, da Osea in avanti, avevano esaltato. In questa luce, la professione di reciproca donazione e comunione tra i due protagonisti del Cantico viene riletta in chiave di fede  e trasforma il poemetto biblico in un testo mistico, destinato a essere quasi il canto di d’amore tra Dio e il suo popolo. In realtà, il Cantico dei cantici rimane ancorato alla storia di un amore umano, ma il suo valore intimo può espandersi dai  cieli alla terra e riflettere la luce del “Dio che è amore” (1Giovanni 4,8.16) o parafrasando 1 Gv 4,8.16, dove c’è l’amore totale, oblativo lì c’è Dio.