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Euthús

Mc 6,45-56

In quel tempo 45subito Gesù costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. 46Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. 47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra.48Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. 49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, 50perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 51E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, 52perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito. 53Compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. 54Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe 55e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. 56E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

Euthús”: subito, immediatamente, senza indugio, senza esitazione, prontamente, all’istante, sollecitamente, tempestivamente, di colpo, velocemente, in brevissimo tempo, rapidamente, prestissimo, in fretta, senza ritardo, improvvisamente, in un attimo, in un baleno, né prima né dopo, ora, adesso, “mo” direbbe Dante e buona parte degli abitanti del centro-sud Italia.

Il Vangelo secondo Marco dà a questo piccolo avverbio di tempo, presente quarantuno volte nell’intero libro, un’importanza teologica incredibile, segnalando la potente irruzione del regno di Dio nella storia di Gesù di Nazaret. Gesù che all’inizio del suo ministero è stato subito sospinto nel deserto dallo Spirito, ha fretta di chiamare i suoi discepoli e di insegnare la buona notizia. Ha fretta di percorrere il territorio e di incontrare le persone e in particolare i malati, i poveri, gli ultimi. Fretta di scacciare la lebbra e di offrire cura ai tanti malati deturpati anche dalla segregazione religiosa e dall’esclusione sociale. Fretta di smascherare l’ipocrisia degli avversari che lo accusano. Fretta dunque di agire e annunciare il Regno spargendo vita.

Il brano di oggi chiarisce questa fretta congenita di Gesù. Egli non rinchiude i suoi discepoli nelle morse della seduzione, del controllo, della dipendenza mortifera, ma li “costringe” subito a continuare il cammino anche senza di lui, precedendolo sull’altra riva, verso Betsaida, con un atto di fiducia che libera da quelle maglie psicologiche che immobilizzano e rendono gli uomini eterni infanti.

La fretta di Gesù non è forsennata né ansiosa: Gesù trova il tempo per fermarsi, andare sul monte, quel luogo in disparte a lui caro, nella solitudine, e pregare. La fretta “escatologica” di Gesù si nutre dell’intimità “teologica” con il Padre nelle ore lente del nascondimento. La sollecitudine del “subito” non nasce da un capriccio fugace e spasmodico di chi tutto pretende, a proprio uso e consumo e senza che gli altri esistano, ma dal tendere l’orecchio nel silenzio per ascoltare il desiderio profondo del Padre, desiderio di bene per l’umanità intera, nessuno escluso.

Teso l’orecchio verso il Padre, Gesù è perciò anche attento a sentire il grido di angoscia dei suoi, che calata la tempesta sul lago, hanno il vento contrario, non hanno più forze per remare e sono in preda alla paura e alla disperazione. La comunione vera con Dio si traduce necessariamente nell’“I care”, motto caro a don Lorenzo Milani, “mi importa”, “mi sta a cuore”, “mi prendo cura”, contrapposto al “me ne frego” dei fascismi di tutti i tempi.

Nel buio della notte, Gesù si incammina sulle acque verso i discepoli in preda al panico e sembra scegliere la via della spettacolarizzazione, in realtà li “costringe” ancora una volta ad alfabetizzare fino in fondo tutto il loro grido di oppressione e di angoscia: “È un fantasma!”. Gesù che ha spinto i suoi a precederlo sull’altra riva, ora semplicemente “passa accanto”, lui il Signore risorto, per annunciare subito la sua presenza rappacificante e incoraggiarli a non aver paura. Salito sulla barca il vento cessa, la comunione con la natura è ristabilita.

Gesù non offre soluzioni facili. I suoi gesti non sono le gesta di un sovrano potente, ma le azioni di un uomo che incarna il volto compassionevole del Padre, che invita a condividere il pane e a liberarsi dai fantasmi e dalle immagini perverse di Dio che ci portiamo dentro. Siamo chiamati anche noi oggi a convertire il nostro sguardo, a vedere in Gesù il Dio della compassione e non della magia e del potere. E se oseremo toccare il lembo del suo mantello, faremo anche noi l’esperienza di essere salvati. Subito.