Le parabole del Regno
Mt 21,28-32
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:«28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». 29Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Questa settimana ci soffermeremo sulle parabole del Regno nel Vangelo di Matteo. La parabola odierna è propria a Matteo ed è la prima di tre parabole che rispondono agli interrogativi: chi entra nel regno di Dio, a chi sarà dato il regno di Dio e chi è invitato, e se ne prospettano le soluzioni: chi ascolta ed è capace di ravvedimento entrerà; il Regno sarà dato a chi porta frutto; tutti sono invitati e nello stesso tempo a tutti sono poste condizioni per essere ammessi.
La parabola dei due figli si consuma all’interno del mondo giudaico: capi religiosi, pubblicani e prostitute fanno tutti parte di Israele e rappresentano gli estremi di una società complessa, divisa, in modi diversi colpevole di corruzione o collaborazionismo (nel testo di Matteo non si allude alla contrapposizione tra giudei e gentili attraverso la quale questo testo sarà letto più tardi). Questa parabola parla delle condizioni per avere accesso al regno di Dio e lo fa in un contesto drammatico. Ci troviamo infatti dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme, nell’ultima settimana della vita di Gesù, nel tempio, nell’ultima controversia che lo oppone alle autorità giudaiche (cf. Mt 21,23; 22,15) prima dell’ultimo dei cinque discorsi che strutturano il Vangelo di Matteo.
Vorrei sottolineare solo alcuni paralleli con l’inizio di questo vangelo e il primo discorso nei capitoli 5-7 di Matteo. Nel discorso della montagna Gesù afferma che non è venuto ad abolire la Legge ma a compierla (cf. Mt 5,17-48), insiste sul binomio dire-fare e sulla necessità di compiere (cf. Mt 7,21-29) e di produrre frutti buoni (cf. Mt 7,13-20). Alla fine Matteo registra: “Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi” (Mt 7,28-29). La problematica dell’autorità e della autorevolezza della parola di Gesù la troviamo anche nei versetti immediatamente precedenti il testo odierno. Nel tempio i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo chiedono a Gesù: “Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?” (Mt 21,23). Mi sembra che la fonte (o una delle fonti) di tale autorità sia nell’obbedienza di Gesù alle Scritture, nel suo compiere la Legge (l’insegnamento del Signore). La Legge è stata data a Israele come via di vita, insegnamento per illuminare la via che porta alla vita. Nel linguaggio di Matteo questa è anche una via di giustizia, come è detto a proposito di Giovanni Battista che riproponeva con forza profetica le esigenze dell’insegnamento del Signore. Per Gesù, nel suo rivolgersi ai discepoli, questa via della giustizia diventa fare la volontà del Padre. Infatti è volontà di Dio che tutti siano condotti su una via di vita: “Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda” (Mt 18,14). Compiere le Scritture è rendere accessibile la sorgente di vita che esse rappresentano.
Le folle che per prime ascoltano l’insegnamento di Gesù e che Matteo ci presenterà come pecore stanche e sfinite che non hanno pastore (cf. Mt 9,36) hanno percepito l’autorità di Gesù perché desideravano trovare la vita. In fondo è l’apertura a un desiderio che può renderci sensibili al desiderio di vita di Dio per noi. Proprio nel suo primo discorso Gesù ha insegnato ai suoi discepoli la preghiera al Padre: “Sia fatta la tua volontà”, preghiera che lui stesso ripeterà nell’ora più buia della sua esistenza. Con tale preghiera anche noi chiediamo ogni giorno di essere abitati dallo Spirito santo per vedere ciò che porta alla vita e saper discernere sempre che la volontà di Dio è salvezza per tutti. Docilità e intelligenza del significato profondo dell’insegnamento del Signore, apertura allo Spirito santo e un cuore abitato dal desiderio sono i frutti della nostra fatica con cui ci presentiamo per essere accolti nel banchetto del Regno.