Chi è mio prossimo?
29In quel tempo un dottore della legge disse a Gesù: «Chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Vangelo più volte ascoltato, il vangelo del cosiddetto “buon samaritano” raccontato da Luca, l’evangelista “irenico”. Ma a quale bontà vuole rimandarci questo racconto di Gesù? Non possiamo permetterci di restare sul morale, sul generico “aiutare gli altri”, senza mai sapere bene chi siano “gli altri”… Perché l’altro è in noi, è tra noi, è ogni giorno accanto a noi, è il nostro vicino, il mio prossimo. Ma noi lo vediamo? Ci accorgiamo della sua presenza, che spesso ci spiazza, così altra da noi? Le nostre viscere sanno fremere, sanno smuoverci oltre noi stessi per andare verso l’altro, fosse pure per un semplice segno di saluto, per riconoscere dignità, cioè vita, all’altro?
Gesù ci racconta il volto di Dio, l’Altro.
Qui Gesù, pur riconosciuto come Maestro, è messo alla prova da un “esperto della Legge” mosaica, dell’etica secondo giustizia, che aveva appena declamato il primo e il più grande di tutti i comandamenti: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10,27). Amerai, ama. Totalmente. Ma se non cerca di essere un semplice vivere quotidiano, l’amore rischia di restare un vuoto sbandieramento. Solo in punta di piedi dovremmo pronunciare la parola “amore”…
“Chi è il mio prossimo?”, domanda. E noi con lui, l’interlocutore di Gesù.
Ed ecco che sfilano davanti a noi, sulla strada che scende da Gerusalemme: il malcapitato uomo, maltrattato e lasciato lì per terra solo, sfinito, morente; un “sacerdote”, custode della Legge, il primo ad allontanarsi; un “levita”, addetto al culto, il secondo che passa oltre; infine il samaritano, il vero protagonista, soggetto di numerose azioni. Il narratore ci accompagna fin nell’interiorità di questo forestiero malvisto, di quest’uomo in viaggio: fu preso nelle viscere, ebbe compassione. Quest’uomo sa commuoversi. E come al rallentatore assistiamo a tutti i suoi gesti di cura. Il tono è dato dall’iniziale “gli si fece vicino”: solo approssimandosi lo può incontrare davvero, può vedere le sue ferite e curarle, fino ad affidarlo a un terzo, l’albergatore, perché continui a stargli accanto fino al suo ritorno. Nel suo andare non si dimentica di lui. Tornerà a incontrarlo, a riaccompagnarlo, a riportarlo alla vita. Facendosi vicino lo riporta alla vita. Al di là di ogni ferita, al di là di ogni male, occorre riaccompagnarci sempre alla vita.
“Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Anch’io. Il richiamo è sempre a noi, a ciascuno e a tutti. Perché nel viaggio della nostra vita portiamo un segno delle viscere di quell’uomo, che tanto somiglia proprio a Gesù, il volto di Dio.
Qui Luca pone l’attenzione sul “fare”, che può renderci un poco più simili a lui. Appena di seguito leggiamo di Marta e Maria che ospitando Gesù vengono richiamate al primato dell’ascolto, un ascolto “amante” radicato nella relazione con il Padre affinché venga il suo regno (cf. Lc 11,2), abiti in noi e tra noi il suo volto. Un volto dal sorriso profondo, dallo sguardo amico, capace di lacrime che mitigano le sofferenze, fin nelle viscere.